Giovanni Boine
BISBIGLIO E VESPERO
– E che vuoi dire? È tutto detto ormai. – Andiamo accanto
per la sera quieti, zitti, come in una culla di bontà.
– Però questo non dire mai, fa groppo, amico! C’è non so che
intoppo, dentro, che non lascia dire.
– Perché, se dici, è un po’ un ubriacamento. Uno si spende
con facilità; ma poi nel vuoto ripunge il tormento.
– Oh se lo so! Si soffre allora di profanazione… Le cose
fonde non si posson dire. Non c’è che dire le inutilità.
– E già: non si può dire la disperazione! Si dice, si ride
infine si fa ciò che agli altri più cale: gai si gira attorno all’essenziale
buio.
– Oh amico! e questo è il male atroce della solitudine in
mezzo agli uomini. – Che insopportabile soffrire essere sempre come agli altri
cale, ma non poter scordare, non poter mai dire!
– E dunque ormai che vuoi tu dire? È detto tutto. – Andiamo
quieti per la sera accanto, in questa zitta culla di bontà.
(Giovanni Boine in una dislettura domenicale. BISBIGLIO E VESPERO. Dove son figlio e cartiglio e faccio del mio meglio come boiniano vero fuorimano!)
Claudio Di Scalzo
DISLETTURA DOMENICALE
(bisbiglio per bisbiglio)
-Bisbiglio del nomade soggettivo che qui capita. Che
flessibile un po’ va a cavallo per evitare ogni stallo e un po’ a piedi anche
se tu lector non ci credi. Come transitare nel
vespero della poesia italiana che potrebbe durare dalla morte di
Leopardi? E nella quale Boine è il morto giovane dalla tisi frantumato ma
accettandola con virilità, che altri bollati petti da sanatorio, non avevano. Transitare o transnaturare la tensione
dualistica di Giovanni Boine impegnato a
crepuscolarizzare il mestiere di poeta e ad accidentarsi di solitudine? Esploriamo cautamente
sbalestrati. Quanto ci tocca per risultarne una critica ibrida
-È tutto detto ormai può firmarlo anche il Moretti col suo
lapis e stando a Cesena. Che piova o che faccia bel tempo.
-Groppo rima con intoppo ma la parola che non si lascia dire
dove finisce? Sotto una suola? In questa estetizzazione del quotidiano
passeggiare lungo riva o tra gli ulivi scassinati dai fulmini dal vento; Giovanni
Boine opera un uso performativo del lessico lamentoso crepuscolare. L’uomo nel suo
essere è silenziato. Può tornare al rimpianto di una culla dove il dondolio o cigolio
o la madre parlava per te fantolino Boine. E poi? Oggi per noi parlano le
ibridazioni post-umane nelle tastiere dei pc degli iPad e degli iPhone. Il
groppo è stroppiato da qualsiasi superficiale che basculla tra Instagram e
Whatsapp.
-Darsi come ubriachi. Abbassare il linguaggio al balbettio
impastato d’una lingua ridotta a pagliaccesco comportamento. Rende inermi.
Soprattutto poi, l’autore, chi scrive, perde la propria allucinazione
soggettiva, che ha bisogno di lucidità e acqua di fonte, niente cognac e vino
ligure; e se uno traballa nel vuoto parolario poi si pente e si martella il
grugno con rimpianti. L’autor à da esse 'osa seria alla buonor! O mamma qui siamo in
man ai cialtron. Bisbiglia nel vespero a Porto Maurizio il Boine incazzoso.
-Se le ‘ose son fonde e non le sai a dir a niuna persona
fattene na' ragione la gente vive in superficie della materia e dei sentimenti
e nessuno se ne accorgerà. Tanto vale dire
scrivere le stronzate. Qui siamo a un millimetro da Flaubert. Si profana
ma la letteratura omai sta in tana. Dunque?, ovvia lo 'apirebbe un bambino: si profanano le opere di topetti.
-Il tempo della disperazione è differenziale si ricombina in frammenti ora della disperazione ora del divertimento e insieme disgrega la poesia originaria che un
tempo, prima del '900?, era possibile che si diramasse per il verso giusto. Con il relativo gusto!
-Ecco qua! ecco qui! la geeeente. In mezzo alla quale si sta in osmosi per
non apparire diversi ma poi la diversità di quelli alla Boine, tutta sta' gente dalle olive alle telline, dalle casette alle barchette che faran mai?, la
sofferenza gliè pompata dal non detto. Dal non espresso.
Tutto è stato detto. Che si scriva col lapis, che lo si scriva morendo in chiesa stesi sulla sulla croce come sul materasso tossendo sangue, che si ghigni in bicicletta fori porta a Torino o in nave verso l'India del bramino, tutto è stato
detto anche sul vaporetto. Dice Boine di Porto Maurizio. E questo vespero non
è uno sfizio.
Nessun commento:
Posta un commento