domenica 9 aprile 2017

Claudio Di Scalzo: Giovanni Boine e l'angoscia nel Getsemani e sulla Croce di Cristo.

CDS: "Giovanni Boine muore e pensa a chi l'ha lasciato solo"




CDS

GIOVANNI BOINE E L’ANGOSCIA NEL GETSEMANI 
E SULLA CROCE DI CRISTO. E SUA.
LA PRESA IN GIRO DI CRISTO E SUA.
E LA QUESTIONE DELLA SCELTA.

Giovanni Boine in aprile, pochi giorni prima della domenica delle Palme, e sarebbe morto un mese dopo, a uno studente che era venuto a trovarlo, mezzo parente, parlò di Cristo sulla Croce e prima nel Getsemani. Sulla sofferenza che aveva provato in quei due momenti. Forse pensava a come Maria Gorlero e Alessandro Casati l’avevano lasciato solo nella sua malattia ultima. Con frasi a volte fredde o aggressive e comunque di circostanza. Mai all’altezza del tragico che viveva. Una donna con cui tanto aveva vissuto, dandole tutto quanto aveva, e un amico al quale aveva confidato ogni suo incedere poetico ed umano, non c’erano. Avevano fatto una scelta. Uno dei due, ora non ricordava più chi, addirittura gli aveva detto che lui col suo atteggiamento strozzava le idee in chi amava. E da ciò non poteva che conseguire che se ne stavano da lui discosti. Il buffo, ma non aveva la forza di riderne, e che lo rimproveravano perché lui imponeva, sull’amore che dicevano di provare per lui, di scegliere. Di giurare in un patto di aiuto verso la sua sofferenza. 

Erano  a modo loro, Maria senza saperlo e Casati ne era imbevuto, di hegelismo, dove non c’è mai la scelta del singolo. Si sta nel flusso della storia della vita. ET-ET, e magari anche nel flusso di qualche poetica crociana o anti-crociana o d’avanguardia o di retroguardia. Invece per lui c’era la responsabilità, sempre, del singolo, per dare senso alla propria vita, AUT-AUT. L’aveva fatto anche il Cristo. Ricavandone sofferenza e la Croce. Ripensò al danese a passeggio alla sua tormentata storia con Regina Olsen. Lui aveva Maria Gorlero e un finto amico come Casati.

Al giovanotto che stava lì anche pensieroso, Boine disse, non si attacca, questa malattia non si attacca, puzza, e per questo apri la finestra, ma tu vivrai sano, e ringrazia tuo padre per le medicine che mi manda. Anche se  non faranno alcun effetto. Ti sei rivolto  a me perché in seminario dove studi ti han parlato di un Cristo che sulla Croce vive il suo più alto dramma di uomo  e di Dio. E me ne hai chiesto conferma. Ti fidi me? che prete non sono? E che sto morendo! E di chi muore, eh giovanotto, un po’ di saggezza ce la dovrebbe avere religiosa  cristiana. Nevvero!? Io ho la mia. E la mia scelta. E ora te la racconto. Poi usala come vuoi!

Per Kierkegaard tutto è preda della possibilità di venir meno per tutte le cose - quindi,  pure dei sentimenti -  sono “impastate di nulla” macchiate da una specie di colpa di origine che li rende instabili. Sì, anche l’amore. Anche quanto ho scritto. Di cui niente m’importa.
M’importa invece che quando son stato a un bivio, ora che ci penso, ho sempre scelto. Ma prima ho provato angoscia per il rischio del fallimento e per il fatto che pur scegliendo tutto possa venir meno. Ma ho scelto. Anche come morire. Come la forma più pura di poesia da non scrivere. Tra il mio essere  e il nulla ho scelto la mia possibilità. Che è morire solo!

Per questo, giovanissimo amico, le parole più angoscianti pronunciate da Cristo non sono quelle che Egli disse dalla Croce, e che sanno a memoria con la loro interpretazione i buoni parroci che ti insegnano  in seminario teologia! “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Matteo XXVII, 46);  bensì le più angosciose parole sono quelle che egli dice a Giuda nell’ultima cena: “Quello che hai da fare fallo presto”. (Giovanni XIII, 26). 

Ti chiedi il perché? Tento di spiegartelo. Perché mentre le parole “Dio mio perché mi hai abbandonato” esprimono l’angoscia per quanto di lì  a poco capiterà al Cristo, e cioè la morte, dopo l’agonia terribile, sono anche il terribile pericolo già individuato, l’approdo individuato; mentre le altre parole “quello che hai da fare fallo subito”, esprimono un’angoscia più alta, perché è nutrita da quanto può capitare, accadere, che il cristo, ma anche noi, non conosciamo. In questa condizione si prova una sofferenza ancora più alta perché sia Cristo che noi siamo davanti al possibile e non al reale. Cristo ha sofferto più al Getsemani che sul Calvario proprio per quanto ti dico.






Io ho sofferto di più quando ho capito la mancanza di bene e di amore di Maria Gorlero e Alessandro Casati verso me!, perché non conoscevo quanto la loro scelta mi avrebbe dato di sofferenza; ed è stata tanta, più alta di quella che ora provo sapendo l’approdo mio, come il Cristo, nella morte certa dopo l’agonia. Nel Getsemani nella mia Croce ho sofferto e soffro anche perché come il Cristo sono stato preso in giro come un pagliaccio!

Ma tutta questa aggiunta personale non c’è bisogno tu la riporti al tuo teologo. E anche tu considerala, se non non sei convinto, come una teologia da povero tisico morente, come una stupidaggine. 






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