Claudio Di Scalzo
Giovanni Boine in
Lucchesia. A Sara Cardellino riconoscente.
Passato il centenario della morte
è stata abbandonata verso Boine ogni corte. Passato il maggio 2017 la critica
da burletta è tornata sul web a giocar favoletta a tressette in altre ruffianerie
a leccare altri nomi come nelle gelaterie. Il gioco è sempre lo stesso, anche
se scontato e fesso, si sale nani sulle spalle dei giganti, sul web si slancia
cotanta ombra, si saluta in guanti, fidando che il motore Google pescando in
eterno comando accosti nano e nana nell’episodica celebrità demente e vana
ovvietà. Che val niente ma il nome naneggiato a qualcun resterà in mente
imbalsamato. Così è successo al povero Giovanni Boine nel centenario ch’è
sempre con tal gente un guaio. Di serpenti ovaio nel pensier nullatenente.
Chi scrive, che non invitato alle
feste a Imperia è stato assente, riporta qui un sogno svitato come tomba
divertente mobile e seria! Con dedica all’uccelletto
che custodisce del mio presente buon detto.
BOINE MISTICO SUL BASTIONE
DI SAN COLOMBANO A LUCCA
1
Me ne sto sul Bastione di San
Colombano, farfuglia il poeta di Finalmarina, non so come ci son capitato, ma
perché l’atto estetico non sia vano (oh Colombano tu sìì ‘ontento della rima mi
va’ di pensà mentre s’imbionda il grano) cancello in me il malnato. Rimare come
nòtare senz’acqua il gusto gliè poo ma non s’affoga e con la facile illusione
si voga.
Giovanni Boine, che consuma su’ anni,
ridacchia a bocca torta perché se rido da diritto di sangue n’esce una sporta.
A misticare mi fo addosso
gorgogliare.
A Lucca, sulle Mura, la vita non
ti spaura, aggiunge il poeta facendosi serio nel suo sogno. Soprattutto se devi
smontare, perbenino, uso il diminutivo come un vecchianese sulla marina stenta
delle dune, le “Pagine Mistiche” di quel cattocomunista di Romolo Murri. Perdio
questa parola a mi’ tempi non esisteva! Ovvoivedé che qualcun altro più che
sognammi mi descrive mentre sogno! Eh no!, bellino, basta diminutivi, il
metaromanzo nemmeno a fette lo digerisco
e poi questa tennia sta per tecnica tradotto dal vernaholo a’ mi’ tempi di
tosse e crociane mosse non esisteva. Ma tant’è, segno che sogno al futuro. Di
tempi che mai vivrò e fra l’altro a breve morirò di tisi e a Padova non mangerò
riso e bisi. Smettiamo grullerie entriamo nel ginepraio delle recensioni che
già da giovane mi faceva girà i ‘oglioni.
Il gioino, come si dice a Lucca,
è sempre lo stesso. E se qualcuno mi sogna nel seolo doppo isto, il duemila,
probabile siano arrivati su Marte gli homini e ancora stiino a recensì libri che
niente valgono a confronto del riso coi
bisi. Ma son probremi loro io a breve moio fissando a Porto Maurizio l’ultime
vele e morì è duro sfizio ve l’assiuro a voi che mi leggete ner mi sogno a
Lucca.
Riassumo. Lo ridio. Murri, o da
dove ti scaturri?, scrive “Pagine Mistiche” recensendo, e di ciò godendo gusti
un po’ osceni, “Storie dell’amore sacro e dell’amore profano” di Tommaso
Gallarati Scotti, induve elogia il “saggio notevolissimo di alcune tendenze
mistiche neo-cattoliche”, ovvvìa qui si legga non si battibecca neh Murri! A
muso duro insanguinato puro, tanto da morinne e non so se è fine e adatto
scrivelo in un sogno, però arrabatto la mia risposta contro questa demente
“adorazione estetica della religione”.
Che vi devo dì!?!, a me
l’adorazioni delle parole della religione della filosofia della poesia della
letteratura fanno venì il gira’oglioni. Immagino durerà a lungo questa santa messa
inventata da Papini e Prezzolini che son, sia detto, due emeriti cretini.
Si scrive un libro. Lo si
pubblia. Lo si recensisce sbrodolando aggettivi e incanti. Ci s’attizza attorno
qualche miagolio sul tetto della copertina, si spargono leccate che nemmeno le
scimmie allo zoo danno alle noccioline, e poi l’estetica celebrata dovrebbe
funzionà come il burro sullo sfintere anale per mettici meglio il cazzo! Mi si
scusi questo tango lessicale un po’ parigino e porcello ma starei meglio al
Moulin Rouge che non in questo bastion d’orticello arboreo. In procinto d’esser
definito reo per quanto scrivo! Mostro. Rancoroso. Irriconoscente che tossendo
mente e si spegne in qualche accidente. Insomma un poco di buono! da non
frequentare manco nei sogni a Lucca Bastion San Colombano ficcati nel core
quanto tengo in mano: La penna o il cazzo duro e puro? Accidenti nun faccio
altro che riferimenti a trombare, se non viene a trovammi la Gorliero mi
sfinisco dalle seghe, mistiche, in sogno solitario!
Ma torniamo a bomba. Libresca che
sto qui a farci tresca nell’arietta di maggio fresca. M’intono insomma sulla frasca d’ippocastani a piene ali
e mani. Ho un certo mestiere in tasca. Si direbbe. Che altri, senza stilo e
stile, manderebbe in giulebbe. A me non me ne fotte niente di sapé scrive per
frammenti e intero. Quanto ho scritto lo pubblieranno dopo che sarò morto e non
potrò guardalli a labbro storto per le stronzate che appronteranno in libri.
Per come, da stronzi che galleggiano in porto in acqua salata, si forbiranno le
labbra stucchevolmente dolci citando il nome e cognome di che lasciarono solo
come un cane a tossì a morì a fassi le seghe ognidì perché nessuna si fa
Sibilla col tisio col fallito nelle lettere con chi se lo frequenti perdi
entrature e carriera. Tutti questi ‘attolici modernisti, ve lo ‘onfesso, anche
perché mi faran fesso, tutti estetia e poa fatia di vive come persone
serie, sono personaggi tristi. Dei
centurioni e delle centurione che mi ficcano lance ner ‘ostato e mi dan fiele
da bè! E da tossì crocifisso!
In questo sogno sto a di’ proprio le ‘ose come stanno come
andranno nei seculi seculorum. Perché i mistici della parola sono razza che
come l’erba inutile tra i mattoni del Bastion San Colombano prospera.
Ecco perché scrivo “Di certe
pagine mistiche”. Dove come nella boxe, destro sinistro, metto a tappeto, sul
ring, i due pugili sonati (e da me gabbati e ‘ome ci godo a dimostranne
l’inconsistenza, li faccio neri!, seppur intenti a far carriera in dorata
mensa. Perché la critica pugilistica con “Plausi e botti” l’ò inventata io
Boine che non fa ruffiane moine! Sia inteso da vivo da morto e sognante in quel
di Lucca parlando vernaholo vecchianese) Murri e Gallarati. Ora spiego come li
pugno li bullo li scardino.
2
Il sottoscritto tossito che
presto all’artro mondo se ne sarà ito, ripudia la mistica come l’intendono i
modernisti e nel futuro i sempiterni figuri tristi che voglino apparì se stessi
oro nella parola e invece son bronzo o rame che vanagloria cola. Ma siccome se
la dicon e se la cantan si po’ dir anco bronzo che si sgola fingendosi oro
gonfiandosi rana somigliante il toro. Questi mistici de noartri, cribbio uso
anco il dialetto romano!, prima o poi scoppiano nella loro malintesa salute
teologica. E piove tanta merdina nell’aria fina. E i piccioni in San Colombano
ci mettono qualche giorno a capì che la pioggia lucchese per portalla via ci
impiegherà qualche mese. Troppo collosa e sciropposa.
Al misticismo alle “parole buie”,
Giovanni Boine, oppone il duro e l’asprezza ferrigna di quanto è più antico e forte cresciuto nella morale e nella logica
d’una esistenza degna e scevra da ogni carriera nelle belle lettere da
insegnare a torbidi e plagiati fedeli. Il poeta, in solitaria appassionato
subito Getsemani culturale, lo martirizzeranno, definendolo mostro minato dal
rincrescimento e da ogni illogica ostilità verso chi possiede il sapere
necessario a salvare la poesia e la filosofia e la religione, rifiuta il
Modernismo, sia detto, basato sopra un finto democraticismo che rende amorfi e
senza propria personalità chi vi aderisce, che si manifesta, in pubblicazione e
dichiarazioni genuflesse verso una
“imperitura poesia della fede. Fede senza oggetto; fede senza idee”.
Per sincerarsi di quanto affermo,
si legga, se mai verrà messo in ordine e pubblicato, il magma delle mie
lettere. L’epistolario insomma. Da non masticare come gomma. Ma non esiste il
Chewing-gum nei miei tempi tra Voce e Riviera ligure. Che strano!
A quanto per lui è fiacco confuso
nella boria trasfuso che scodinzola come un biacco tra le crepe dell’ambizione
teorica, contrappone, chi com’esso crepa nel corpo, sano o che s’ammali, che
tossisca o scoreggi, che goda a pipo ritto o che si bagni lo sterno di sangue,
lo sterno dove attesi che la donna mia stil novo nella mistica d’amor ti provo,
mai trovata ahimè, mi posasse come fe’ Beatrice e Laura e Silvia la mano, il
palmo ferito come i miei polmoni, per guarirmi e salvarmi.
Giovanni Boine non leggeva
filosofi e pensatori per ricavarne bracciali da esporre nelle vetrine delle
pubblicazioni in riviste, oggi lo fanno sul web questi adoratori di
mammona-carriera estetica; se s’appuntava quanto scritto da Ollé-Laprune e da
Unamuno, ne ricavava medicina per tirare avanti e non soccombere all’assedio
degli amici letterati che si addobbavano coltissimi sapienti pronti a
insegnargli la giusta e retta via!
Al pensiero concorre l’organismo
corporeo, afferma l’Ollé Laprune e ciò è un virtuoso pruno olé olé. Hola,
aggiunge Unamuno, bella l’immagine del pruno, per me il sentimento tragico, col
quale affrontare l’estetica e la poesia, si nutre di sangue midolla ossa cuore.
Con la tisi che segna male, con l’irruenza del mio sangue ligure tra gli ulivi
sano che segna libertaria salute, col sangue mi c’intendo. Si dice Boine sul Baluardo
che lo fa sentir oggi coraggioso bardo.
Unamuno pruno così lo tradussi,
la traduco, come nella mela il bruco?, ride alla battuta Boine, che si dichiara
vecchianese nelle facezie grulle, l’essere lo si rende nella sua unità e
unicità di arte e verità, oltre le apparenze brulle, e da ciò discende
l’aspetto estetico che ne è figliato. Sennò è tutta una falsità ch’è inutile
stalla a remà nel golfo di Porto Maurizio come in san Colombano: misero sfizio
estetico. Di ciò non voglio più senti il tanfo, te ne prieco, oh Boine che nel
sogno ti traduco!
Meglio star scalzo sulle Mura che calzato estetico da metter
paura.
Boine ride alle mie rime sceme.
“Montagne… torrente… catene di
montagne… aggrovigli di valli… io voglio da voi prender ritmo”, dice ispirato
sul Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano.
E’ felice Giovanni Boine sul
Serchio. Che belle scoperte che faccio in questo sogno, su questo ponte
leggendario, che poi è talmente reale che quasi quasi lo dono, da viverlo, a
qualche mio lettore che mi legge, o mi leggerà?, avendo inteso tanto di me:
come carattere e sconfitte ad ogni angolo dell’esistenza.
Mi sento qui, dopo Lucca, “uomo reale”. Che a viver nel bene
nel male capisce che tutto vale.
Sto al centro della mia
condizione esistenziale sgocciando sangue e verità. Sento esuberanza e
subitanea fiacchezza, son malato del resto, ma intuisco, su questo ponte, che
vivrò l’immortalità per questa mortalità che mi morde i garretti, per le
delusioni d’amore che mi spezzano i detti, per i tradimenti che resero miseri
gli affetti. Però devo sbrigarmi perché nel grido dell’angoscia “non ho
costrutta la mia anima ancora”.
S’affaccia dal parapetto, un’onda
gli consegna il ritratto di un gobbino con il cilindro, e Boine lancia un bacio
al filosofo, caspita è giuntò fin qui da Copenaghen, proprio un sogno senza
confini questo, e pensa la sua anima che va verso la Marina di Vecchiano, come
schiuma che non si scioglie. E che qualche pescatore di orate accoglierà con la
sua rete.
Contento di non aver pescato
pesci ma la schiuma che tutti i pesci accoglie. Ti saluto pescatore sconosciuto
del mio sogno. Custodiscilo. Appena ci svegliamo assieme. In due vite diverse
che ne fanno, casualmente, per un giorno: una.